Il pensiero convenzionale è caratterizzato dal pensiero lineare. Molti maestri insegnano che il sentiero verso il successo nella vita sia composto da una serie di passi che possono essere ottimizzati e migliorati uno ad uno, dimenticando invece che la vita è un Sistema e che si muove in modo integrato.
Siamo alla seconda lezione del mini-corso “La Vita è un Gioco” (LVG).
Finora abbiamo parlato dell’importanza dell’atteggiamento e delle 3 strategie da adottare per partecipare con intelligenza al meraviglioso gioco della vita e alla fine abbiamo visto come si applica all’uso di uno strumento altamente sofisticato come il mantra yoga.
Ma può succedere, e di fatto accade, che nonostante l’applicazione di queste strategie, non si arrivi ad un vero cambiamento e quindi ad un tangibile miglioramento della nostra vita.
Abbiamo quindi bisogno di aggiungere un nuovo tassello: la lente della teoria dei sistemi.
Identificheremo alcuni concetti che cambieranno completamente il modo in cui stai guardando il mondo e soprattutto il modo in cui stai scegliendo ed attuando le varie strategie per raggiungere i tuoi obiettivi, che in ultima analisi sono la ricerca della felicità (sotto vari punti di vista e declinazioni).
Il pensiero convenzionale del nostro piccolo pianeta Terra è caratterizzato dal pensiero lineare. Molti maestri ritengono, ed insegnano, che il sentiero verso il successo nella vita sia composto da una serie di passi che possono essere ottimizzati e migliorati uno ad uno.
Ad esempio, se hai un problema di relazione, qualcuno potrebbe suggerirti che dovresti apprendere la tecnica dell’ascolto attivo, sviluppare la qualità della tolleranza e predisporti al perdono, senza dimenticare la meditazione attraverso il respiro consapevole.
Qualcun altro ti dirà qualcosa di diverso, a seconda di come vede le cose e qual è il suo “spazio della soluzione” di cui parlavamo nella lezione precedente.
Quando il sistema, ossia la soluzione proposta, non funziona, ti verrà detto di focalizzarti sulle singole parti e di migliorarle. Magari il tuo ascolto attivo è carente, oppure la tua meditazione non è sufficientemente focalizzata o infine non c’è abbastanza empatia nelle tue parole.
Ti muovi allora approfondendo queste tecniche, facendo nuovi corsi, leggendo libri, ascoltando seminari per poter risolvere quell’aspetto, mettendo così in secondo piano il tuo reale problema, ossia la difficile relazione con una persona.
Però ti muoverai senza nessuna garanzia che le cose funzioneranno davvero e che i tuoi singoli sforzi facciamo realmente la differenza.
Il punto è che il problema non è (mai) la tattica, ma il nostro pensiero lineare.
Ossia, il problema è alla base stessa della nostra visione del mondo.
Per questo motivo, modificare a monte il nostro modo di pensare, migliorerà ogni cosa che sta a valle.
La realtà è che la tua vita non è una raccolta di parti che possono essere modificate una alla volta, è invece un sistema che funziona nell’interazione delle singole parti.
Prendiamo per un attimo come esempio un’auto da gara, giusto per intenderci. Non sono assolutamente un appassionato anzi, conosco la marca solo delle due auto di mia proprietà, ma l’analogia è calzante e molto utile.
L’auto è un sistema composto da vari sotto-sistemi che forniscono benzina, che progettano il design aerodinamico, che generano potenza, che la convertono in energia meccanica.
Prese singolarmente, però queste parti non producono l’esperienza del guidare, giusto?
Ciò che fa funzionare l’auto è interazione delle singole parti tra di loro, dove ogni parte è necessaria, ma nessuna è indipendente dalle altre. Solo nel momento in cui operano insieme, le proprietà essenziali dell’automobile emergeranno.
Ovviamente, possiamo ottimizzare il singolo elemento, il singolo sotto-sistema, ma funzionerà solo nella misura in cui riuscirà ad interagire e ad integrarsi con le altre parti facendo emergere le proprietà peculiari dell’intero sistema, in questo caso un’automobile.
Pensa a cosa potrebbe accadere se dessimo più potenza al motore, ma contemporaneamente non pensassimo alla forma della macchina al fine di stabilizzare la sua tenuta sulla strada!
Ecco perché prendere a prestito tecniche e appiccicarle al tuo caso specifico, la relazione di cui stavamo parlando, non solo non funzionerà, ma potrebbe creare danni enormi. Sei d’accordo?
Anche noi siamo composti da vari sotto-sistemi e ce ne sono 3 che nel nostro contesto rivestono un’importanza particolare perché, se non adeguatamente valutati, rendono vano ogni nostro progresso nel percorso della vita,:
Vediamoli uno ad uno per capire in che modo possiamo applicarli al nostro specifico caso.
La consapevolezza si manifesta in molte forme: un evento inaspettato che ci fa vedere le cose in modo diverso; le parole di un amico, di un conoscente o addirittura di un nemico; una frase letta da qualche parte; un malessere, il nostro corpo che invia i segnali attraverso il nostro apparato pneumo-psico-fisico; un pensiero ricorrente; qualcuno vicino a noi che soffre; l’esigenza di cambiare qualcosa nella nostra casa o nella nostra vita lavorativa; una goccia che ha fatto traboccare il vaso, ecc…
In sostanza, ci accorgiamo che qualcosa non sta funzionando, sia in modo esplicito, ossia conosciamo il problema, sia in modo implicito, ossia non ne abbiamo la consapevolezza, quando qualcuno o qualcosa ce lo fa notare.
Quelle sono avvisaglie dell’approssimarsi di un Punto di Svolta, ossia momenti in cui possiamo cambiare il corso per molti aspetti automatico e caotico della nostra vita.
Ciò che indichiamo con il termine “consapevolezza” è qualcosa che crea interesse in noi, che ci rende altamente recettivi verso quello specifico ambito.
Se infatti qualcuno non è consapevole di avere un problema, certamente non avrà il desiderio di trovare la soluzione. Giusto?
Di solito succede che quando arrivano queste avvisaglie, cerchiamo di risolvere velocemente le cose e andare avanti per la nostra strada, non comprendendo che invece in quel Punto c’è una potenzialità enorme da scoprire.
Certo, l’uso della meditazione potrebbe aiutarti a ripulire la mente dalle incrostazioni accumulate legate alla sola dimensione dell’Io, che tutti noi abbiamo.
Allo stesso tempo sono consapevole, perché l’ho sperimentato più volte e continuo a farlo, che portare alla coscienza non è sempre un processo semplice e piacevole anzi, potrebbe significare fare i conti con qualcosa che stiamo evitando in tutti i modi da chissà quanto.
D’altronde non farlo significa rimanere ottusi a ciò che ci sta comunicando con insistenza la Vita e relegarci in una condizione di semi-automatismo. Non sembra una reale soluzione, vero?
L’azione coordinata consiste nella volontà di agire in modo integrale e progettuale, per risolvere, riordinare, reindirizzare la situazione che vogliamo affrontare.
Lo stato di consapevolezza che abbiamo risvegliato si esprime quindi in un movimento, un’azione volta a ristabilire l’equilibrio, un impegno attivo appunto, una serie di sforzi coordinati al conseguimento del risultato.
In poche parole, attiviamo un sistema di elementi che cooperano tra di loro per riportarci nella pace.
In questa fase si arena la gran parte delle persone perché nel mondo c’è resistenza per ogni cosa che facciamo, quindi abbiamo bisogno di impiegare tempo ed energia per tutto.
Chi non è sufficientemente motivato, ossia non ha una grande consapevolezza sul problema che sta vivendo, non gli presta sufficiente ascolto, lascerà la partita e tornerà al punto di partenza, pieno di rimpianti, rancore e sensi di colpa. E il ciclo del dolore ha di nuovo inizio.
Per compiere un’azione coordinata abbiamo quindi bisogno di una mente focalizzata. La Bhagavad Gita (BG 2.66) dichiara:
Chi è scollegato non ragiona. Chi è scollegato non è focalizzato. Chi non è focalizzato non ha pace. E per chi non ha pace dov’è la felicità?
E nel verso 50 dello stesso capitolo definisce lo yoga come “maestria nel compiere azioni” (yogaḥ karmasu kauśalam).
Abbiamo quindi bisogno di agire, e di farlo nel modo migliore, sapendo che il mondo è un sistema integrato e se mi muovo in una direzione, avverranno dei cambiamenti anche in tutte le altre.
D’ora in avanti quindi faremo riferimento a questo tipo di concezione dell’azione, cercando di capirne insieme le dinamiche e in che modo possiamo raffinare la nostra arte, per il nostro bene e quello del mondo.
Trasformazione
La trasformazione è la conseguenza naturale dei primi due passi, diventare consapevoli di un problema e iniziare ad agire in modo coordinato.
Il risultato è l’emergere di una nuova figura, noi, che da quel momento si muove nel mondo in modo diverso e che quindi non incorrerà più nella situazione che ha portato alla consapevolezza iniziale. O comunque lo farà sempre di meno, man mano che la trasformazione avviene sui vari livelli della nostra personalità.
Una forte consapevolezza e una felice azione coordinata, porta anche ad una feconda trasformazione nel nostro percorso evolutivo. Questa porterà ad una nuova consapevolezza, che farà scattare un’azione coordinata e quindi ad una nuova trasformazione. E così via, in un ciclo infinito della gioia.
Molti in realtà sono consapevoli dei propri limiti e debolezze, si muovono per superarli, ma non sono pronti per trasformarsi nel processo, non voglio realmente rinnovarsi.
Ma ogni viaggio che possa essere chiamato tale, presuppone una preparazione (consapevolezza), il cammino vero e proprio (l’azione coordinata), ma anche un ritorno “al regno” come persone nuove capaci di portare frutto dal loro viaggio (trasformazione).
Il percorso evolutivo della Vita è un sistema nel quale queste parti interagiscono tra loro per produrre un risultato di rilievo, direi straordinario.
Ogni percorso, per chiamarsi tale, ha quindi bisogno di consapevolezza, di un’azione coordinata verso la soluzione e di creare i presupposti (anche interiori) per una corretta trasformazione.
Ognuno di questi elementi è necessario, ma nessuno di loro è indipendente e sufficiente.
A cosa porta la consapevolezza se poi non ci attiviamo per migliorare la situazione? A nulla.
A cosa porta tanto impegno e sforzi se questi non conducono ad una reale trasformazione e ad un rinnovamento di noi stessi? A nulla.
Quindi, solo ora che abbiamo compreso quali sono i 3 elementi del nostro cammino evolutivo, e che questi producono risultati solo nella misura in cui interagiscono correttamente tra di loro, per prima cosa dobbiamo decidere quali sono i risultati che vogliamo, ossia quali sono i nostri obiettivi. Ovviamente partendo dalla consapevolezza di nostri problemi.
La teoria dei sistemi ci dice infatti che per ottimizzare un sistema, dobbiamo anche sapere il motivo del nostro intervento.
Quindi ora potresti momentaneamente chiederti:
Potresti analizzare questo aspetto attraverso le differenti aree della tua vita, come le relazioni, la stabilità, l’energia personale, il lavoro, l’autostima, ossia il modo tutto nostro di abitare noi stessi, e il mondo. Oppure puoi prendere in considerazione delle specifiche situazioni che vivi in questo momento.
Ora, proseguiamo con un obiettivo che tutti noi abbiamo e che in parte ho già accennato: credo che all’inizio e alla fine di ogni nostro desiderio e azione, nella nostra vita vogliamo più felicità, più appagamento e una maggior connessione, ossia avere un senso profondo della nostra vita e del nostro ruolo in essa.
Questo è già molto diverso dal semplice sopravvivere, come si sono abituati a fare in molti.
Però, il termine “felicità” è troppo soggettivo e ha molte variabili. Per qualcuno significa essere sempre super entusiasti, per altri che le cose vadano sempre per il verso giusto, per altri ancora significa avere buona salute, o un buon lavoro o buone relazioni, ecc.
Per cercare di capire meglio questo termine, iniziamo focalizzando l’attenzione su cosa significhi NON essere felici.
Ho fatto un piccolo elenco di cosa significa per me:
Questo è un elenco introduttivo ma credo che tutti noi conosciamo queste sensazioni. Infatti, è sulla percezione che dovremmo concentrare la nostra attenzione quando riflettiamo su cosa sia la felicità nella nostra vita.
La “percezione”, altra parola che scatena reazioni di ogni sorta, fino alle più fantasiose.
Partiamo da un approccio fenomenologico: senza dubbio ci sono stati momenti di felicità nella tua vita, giusto?
Ma se ci pensi attentamente, in realtà non è stato l’evento in sé e renderti felice, ma il modo in cui hai interagito con esso, come l’hai integrato nella tua vita, quale esperienza concreta hai avuto, in che modo ha migliorato la percezione di te.
E allora anche una visita dal dentista può renderti felice, se hai saputo governare la tua paura; anche la perdita di una commessa di lavoro importante, se poi hai potuto guardare negli occhi il tuo partner e hai capito che insieme potete fare qualsiasi cosa; e anche un tradimento può renderti felice, se questo ti ha permesso di imparare a perdonare e a vivere senza legami di possesso e con meno aspettative…
Ovviamente tutto questo non può essere misurato e presentato in un diagramma o in un foglio, ed ecco perché le persone si focalizzano su criteri meno importanti, come la bellezza fisica, il conto in banca, il lavoro, i figli, il partner, le vacanze, gli oggetti…
Questi criteri esteriori, anche se possono essere facilmente elencati in un foglio, sappiamo che non rappresentano l’immagine intera, perché sono incompleti e nella maggior parte dei casi altamente fuorvianti.
Quindi, per ogni cosa che ti viene in mente di fare per migliorare la tua situazione, chiediti:
Come vedi, è vero che la felicità è qualcosa di soggettivo, ma allo stesso tempo è utile che scegliamo alcuni criteri più oggettivi per non cadere nella confusione o perderci nella nebbia.
Ricordati, è importante che sia tu a porti questo tipo di domande e a non abituarti ad affidarti ad uno strumento, per quanto potente sia.
Per il momento concentrati su un solo elemento: ad esempio, quante volte rifiuti ciò che ti accade nella vita, ossia quante volte pensi che quella cosa non ti sarebbe dovuta accadere e che la colpa sia di qualcuno o qualcosa?
Quest’unico elemento ti darà una visione più chiara e allo stesso tempo è un numero abbastanza oggettivo perché puoi tracciarlo ogni giorno, ripensando semplicemente a ciò che hai vissuto nel tuo quotidiano e come hai risposto ad ogni evento.
Non è una garanzia che se non rifiuti ciò che ti accade allora sarai felice, ma sicuramente ti metterà nelle condizioni migliori per essere più consapevole, poterti agire in modo più coordinato e intelligente, e quindi permetterti di trasformarti.
Questa quindi è l’approssimazione più accurata che io conosca per definire la felicità, perché elimina gran parte del rumore di fondo della mente che argomenta sulle varie cose che ci succedono, e allo stesso tempo rivela molti segnali utili per procedere nella giusta direzione.
Infatti avremo più possibilità di percepire le altre sfumature soggettive di felicità della nostra vita che altrimenti ci sarebbe stato impossibile notare, concentrati sul nostro castello di certezze ormai espugnato.
Insieme, il dato oggettivo dei tuoi rifiuti e le sfumature soggettive, potranno raccontarti molto sulla tua vita e sulla direzione che le stai dando.
Ora facciamo un piccolo riepilogo:
Pensa quindi alla tua vita come alla messa in comunicazione di questi tre elementi (consapevolezza, azione coordinata e trasformazione), dove ognuno di loro è necessario agli altri e al conseguimento dei tuoi risultati.
Crea poi un modo per misurare quante volte pensi che la vita sia in qualche modo ingiusta con te. Magari hai tutte le ragioni del mondo per ritenerlo, ma non è il momento di indagarle. Ora limitati solo a registrare questo rifiuto.
Scriviti quali sono gli altri tipi di felicità della tua vita, per avere un quadro più completo della situazione.
E quando devi compiere un’azione o un cambiamento, poni attenzione a cosa alimenti, se il tuo rifiuto o le tue felicità, quindi se ti avvicina al tuo obiettivo ultimo o ti allontana.
Se ti avvicina, avrai fatto un miglioramento, se rimani lì dove sei allora sarebbe uno sforzo inutile, se invece ti allontana sarebbe uno sforzo dannoso per te.
Semplice, facile ed efficace.
Nella prossima lezione parliamo di ascolto, empatia e valore, perché c’è un potere nascosto a molti ma che ha effetti potenzialmente illimitati.
Quelli che chiamo “Punti di Svolta”, sono proprio momenti che fanno leva su questi elementi.
Ma prima di continuare chiediti se queste parole ti sono state utili, e solo in caso affermativo continua la lettura.
Om tat sat,
Andrea (Ananda Kishor)